Domande che ricorrono nei genitori che hanno figli in età prescolastica e non solo.
Sono le domande che condurranno ad una scelta.
Proviamo a condividere qualche considerazione utile alle loro riflessioni e scelte, in più tappe:

1. Lo sport per i bambini
2. A quale età cominciare a fare sport?
3. Quale sport scegliere?
4. Questo club è ok!
5. I genitori del bambino che fa sport

Lo sport per i bambini. Lo sport è emozionante, divertente e come tale coinvolge facilmente i ragazzi.
Ha una funzione ludica e salutistica, ma anche sociale, e riproducendo molte delle situazioni della vita, risulta uno straordinario mezzo educativo: insegna il rispetto di sé e degli altri, delle regole, il valore dell’impegno, la convivenza civile, la cooperazione, l’accettazione della sconfitta, accresce la fiducia in sé stesso aumentando l’autostima; permette di scaricare le ansie, le frustrazioni e l’aggressività; favorisce l’incontro e facilita l’integrazione, contribuisce a prevenire malattie. Il reale senso dello sport dei bambini non è la ricerca della vittoria ma realizzare una condizione formativa capace di accrescere le potenzialità psicofisiche e di relazione con gli altri.
Bisognerebbe quindi avere una ambizione chiara, quando ci occupiamo di sport: divulgare innanzitutto la ‘cultura dello sport’ tra i ragazzi, sportivi di oggi e di domani; aiutarli cioè ad acquisire una corretta coscienza sportiva ed etica perché attraverso essa crescano e siano uomini migliori.

Cos’è lo sport?
Lo sport è definito dalla Carta Europea dello Sport redatta dal Consiglio d’Europa nel 1992:

“Qualsiasi forma di attività fisica che, attraverso una partecipazione organizzata o non, abbia per obiettivo l’espressione o il miglioramento della condizione fisica e psichica, lo sviluppo delle relazioni sociali o l’ottenimento di risultati in competizioni di tutti i livelli”.

Una definizione ampia. Tre sono le componenti essenziali dello sport:
•    componente ludica (gioco)
•    la componente psicomotoria
•    la componente agonistica

Il gioco
La prima di queste – il gioco – ci aiuta ad introdurre lo sport nella vita dei bambini. Lo sviluppo del bambino, infatti, inizia proprio con il gioco, la sua voglia di giocare – provocata dal divertimento, elemento essenziale – attiva le sue azioni e lo sviluppo perché il gioco per il bambino è un sistema di apprendimento.

Il gioco, quando viene strutturato attorno a regole, diventa sport.

La psicomotricità
Nella fase evolutiva la psicomotricità è importante per i bambini. I bambini hanno bisogno di confrontarsi con il loro corpo e devono ricevere stimoli, altrimenti lo sviluppo del loro sistema motorio sarà incompiuto. Lo sport in età evolutiva è una delle leve più importanti a tal fine.

Il gioco può contribuire alla formazione psicomotoria di base, dove l’apprendimento sportivo è integrato con lo sviluppo delle diverse aree della personalità (cognitiva, sociale, emotivo-affettiva e motoria). Gradualmente il bambino attraverso il gioco e le attività motorie aumenta la cognizione del proprio corpo e della proprie azioni passando da movimenti semplici e spontanei a movimenti organizzati e stabiliti da regole; sviluppa la capacità di controllo e autocontrollo del proprio corpo; sviluppa la capacità di relazione con i coetanei e anche gli adulti. La psicomotricità ha un fine suo, diretto, ovvero armonizzare lo sviluppo del bambino come persona ma, tramite la psicomotricità, si può introdurre il bambino con gradualità all’apprendimento di qualsiasi attività sportiva.

La competizone
Una adeguata formazione psicomotoria può evolvere poi nella pratica agonistica ma anche nello sport del tempo libero.
L’agonismo è utile?
Anche se in molte discipline sportive i bambini sono mossi ad un avvio precoce alle competizioni agonistiche, prima dei 12 anni è generalmente  sconsigliata la pratica sportiva a livello agonistico perché non esistono ancora i presupposti psico-fisici necessari per sopportare impegnativi carichi di lavoro.
Tuttavia, tra le leve utili allo sviluppo e all’educazione del bambino vi è anche il desiderio di competere. Dai 6 anni cresce il bisogno di confrontarsi con gli altri. Questo – per essere soddisfatto – non ha bisogno di pratica sportiva agonistica di alto livello, basta che il bambino pratichi uno sport competitivo, ovvero uno sport in cui: esiste un confronto agonistico moderato; gli allenamenti e le gare non sono  esclusivi per importanza ed assorbimento del tempo libero; la gara non è l’obiettivo da raggiungere, ma un modo per verificare l’apprendimento degli insegnamenti; in cui è sempre presente il divertimento e mai lo stress.
I bisogni connessi alla aggressività, alla interazione con gli altri, alla autoaffermazione sono naturali. Rispetto a questo, l’agonismo ha una funzione compensativa, decongestionante… a patto naturalmente che sia gestito da un educatore preparato in un ambiente consapevole e ben organizzato.
L’agonismo possiamo definirlo come l’aggressività governata da regole. Ogni bambino ha una quota di aggressività e la esterna a seconda di come è vissuta in famiglia e negli ambienti che frequenta, compreso il club sportivo. Qui, o meglio nello sport in generale, esistono codici, regole, che definiscono il comportamento competitivo e quindi “incanalano” l’aggressività (come questo avviene dipende dal modello educativo di ogni ambiente).
Lo sport in sostanza, attraverso la componente agonistica (confronto con l’avversario, col cronometro, con se stesso…) media le emozioni e le ambizioni di affermazione del bambino, gli offre la possibilità di verificare i limiti e le capacità, di comprendere come migliorarsi: se vissuta e proposta così, la competizione è un elemento di rinforzo per il bambino, gli dà l’opportunità di guadagnare sicurezza e autostima.
Se quel desiderio di affermazione di tipo aggressivo nel tempo diverrà motivazione al confronto con l’avversario per constatare le capacità acquisite, allora l’agonismo avrà raggiunto suo effettivo obiettivo educativo.
In questo centrale è la figura dell’educatore/allenatore. Sue aspettative agonistiche eccessive mettono il bambino in condizione di stress e di frustrazione, se non arrivano i risultati. Il bambino può crearsi un’immagine falsata dello sport, contrassegnata dal successo o dall’insuccesso invece che dal naturale piacere di praticarlo. Col rischio di abbandono precoce
Viceversa, la competizione è benefica se viene proporzionata dall’educatore in momenti che per il bambino sono di divertimento e confronto con sé stesso.
Naturalmente questo approccio è essenziale che sia condiviso dai genitori: se le pressioni cominciano a casa sarà difficile che a valle il percorso educativo dello sport si completi correttamente.
La competizione, quindi, è un elemento sano se ben compreso e ben gestito.

La specializzazione
C’è, poi, un altro aspetto non sempre adeguatamente soppesato quando si parla di sport per i bambini. Perché i bambini abbiamo uno sviluppo psicofisico integrale e armonico devono sperimentare una ampia molteplicità di giochi e di esperienze motorie non vincolate alla prestazione né al risultato; evitando al bambino una specializzazione prematura e unilaterale in un unico sport che insegni specifiche abilità tecniche.

In conclusione, ricordiamoci che i bambini sono naturalmente molto “vicini” allo sport perché sono portati per natura al gioco, a misurarsi, a competere.
Hanno però bisogno di potere esprimere questa naturale inclinazione in libertà, senza sottostare a schemi eccessivi e senza doversi preoccupare dei risultati.
E’ il momento ludico e competitivo in sè che attrae il bambino. Solo verso i 12 anni il ragazzo comincia a sapersi dare degli obiettivi, a seguire schemi astratti, a collaborare: allora potremo cominciare a considerare performance e risultati.

A quale età incominciare a fare sport?
Camminare, correre, saltare, arrampicarsi, lanciare… sono gli automatismi primari che il bambino consegue entro l’età di 4-5 anni.
A questa età il grado di sviluppo e di coordinazione utili per imparare le tecniche sportive consente l’avvio allo sport: anche se il gesto motorio (nuotare, calciare…) può essere acquisito prima, quindi, per l’inizio di una attività più strutturata, come quella proposta dai club, è preferibile attendere.
Tra i 6 e gli 11 anni, poi, le diverse abilità motorie si svilupperanno divenendo il patrimonio motorio del ragazzo.
Naturalmente all’inizio al bambino potrà essere proposto lo sport come gioco organizzato, mentre quello fatto a livello agonistico arriverà più tardi. Quando? in generale l’età ideale per iniziare l’attività agonistica dipende dalla specifica attività sportiva.

Il CONI – sentite le Federazioni, i tecnici e la Federazione Medico Sportiva Italiana – ha indicato l’età di inizio dell’attività agonistica e le modalità con cui calcolarla (approvazione del Consiglio Superiore di Sanità in data 09/04/2008).
8 anni: Pattinaggio, Nuoto, Pallamano, Tennis, Equitazione, Ginnastica
9 anni: Baseball e softball, Pallanuoto

10 anni: Tuffi, Canoa, Hockey pista-prato-ghiaccio, Scherma
11 anni: Sci Alpino, Pallacanestro
12 anni: Calcio, Atletica Leggera, Judo, Lotta, Karatè, Rugby, Sci di fondo, Vela
13 anni: Pugilato, Orientamento, Ciclismo
14 anni: Pallavolo*, Arrampicata sportiva, Pesistica
* con possibile deroga ad 11

La definizione di attività agonistica è data con la circolare del Ministero della Sanità N.7 del 31 gennaio 1983 (disposizioni del Ministero della Sanità sull’attuazione del d.m. 18/02/1982) che però precisa che siccome la Commissione Tecnica consultiva ha valutato che l’attività agonistica non posssa essere definita in termini tecnico-giuridici appropriati e univoci per tutti gli sport, ha dato compito alle Federazioni Sportive Nazionali (e agli Enti di Promozione Sportiva riconosciuti dal CONI) di identificare i limiti per definire l’attività sportiva come “agonistica”.
In generale, dice la circolare, la componente agonistica è quella forma di attività sportiva praticata sistematicamente e/o continuativamente e soprattutto in forme organizzate dalle Federazioni Sportive Nazionali, dagli Enti di Promozione Sportiva riconosciuti dal CONI e dal Ministero della Pubblica Istruzione per quanto riguarda I Giochi della Gioventù a livello Nazionale, per il conseguimento di prestazioni sportive di un certo livello.
L’attività sportiva agonistica non è quindi sinonimo di competizione, cioè la competizione può essere presente in tutte le attività sportive, ma da sola non è sufficiente a configurare una attività sportiva nella forma agonistica .
La Federazione Italiana Rugby considera agonisti – ai fini e per gli effetti del D.M. 18.2.1982 – gli atleti dai 12 ai 42 anni (con età non anagrafica ma calcolata su anno solare). In sostanza la prima categoria che svolge attività agonistica è l’Under 14.

Quale sport scegliere?
Prima di porsi la domanda “quale sport per mio figlio” dovremmo provare a porcene un’altra: “Mio figlio vuole fare sport?”
Dobbiamo comprendere cioè se ha davvero le motivazioni per farlo.
Come genitori siamo animati dalla migliore delle intenzioni, fare ciò che è utile per i nostri figli, prendendo sempre le decisioni più appropriate.
Siamo adulti e sappiamo cosa è bene per loro. In buona fede però ci scordiamo che i bambini elaborano i propri pensieri ed hanno propri stati d‘animo.
Ogni volta che scegliamo per loro corriamo il rischio di rallentare la loro progressiva acquisizione di autonomia, che significa crescita: riduciamo la possibilità di assumere le loro prime decisioni “autonome”. Naturalmente l’autonomia di tali decisioni è limitata alla competenza ed alla responsabilità dell’età ed il nostro aiuto sarà sempre fondamentale.
E’ necessario il dialogo, quindi: cerchiamo di ascoltare e di capire cosa desidera il bambino, quali sono le sue motivazioni reali (senza motivazioni potrà mantenere l’impegno che lo sport richiede?), e spieghiamogli che l’attività sportiva potrà essere utile alla sua salute, alla quale teniamo moltissimo. Alcuni bambini, infatti, sono refrattari all’idea di doversi cimentare in un qualsiasi sport, o almeno in quelli che conoscono.

Fatto questo, possiamo passare alla seconda domanda: “Quale sport?”.
Per compiere la scelta (mai irreversibile naturalmente) possiamo fare più considerazioni.
Innanzitutto spesso i bambini manifestano una chiara attrazione verso una disciplina, perché la praticano altri amichetti, perché era lo sport del papà, perché la vedono spesso in tv, perché abitano davanti allo stadio… se non ci sono controindicazioni del medico, possiamo assecondare la sua richiesta. E’ la passione che gli farà amare lo sport.

Facciamo anche un’altra considerazione, relativa ai desideri degli adulti. Un esercizio che faciliterà le scelte è la “prova dello specchio”: mettetevi davanti allo specchio e domandatevi: “Quanto desidero io che mio figlio faccia proprio questo sport?”.
Una delle principali cause di abbandono dello sport è proprio l’eccessiva pressione ricevuta dai genitori. I bambini sono collaborativi, vogliono assecondarci e sono disposti a farlo. Finché ce la fanno. I nostri figli non sono la nostra occasione di rivincita per quanto non siamo stati, o la continuazione di quanto abbiamo fatto. La loro vita è un progetto singolare e speciale, fatto dalle loro scelte.

Altra considerazione. Ricordiamoci che per i bambini di 4-5 anni la specializzazione sportiva non è vantaggiosa, perché non provare a suggerire anche altri sport facilmente accessibili? Spesso le associazioni sportive portano i propri allenatori nelle scuole per fare proselitismo, questa è una delle occasioni che ha il bambino per sperimentare “nuovi giochi” e scoprire che alcuni lo entusiasmano o, al contrario, che non gli piacciono affatto. Il genitore attento inoltre cercherà altre occasioni per fare conoscere altre discipline ai suoi figli.

C’è un altro aspetto da considerare. Lo sport educa. E siccome piace al bambino, perché lo diverte, ha talvolta più chances di educare della famiglia e della scuola.
Ogni sport ha in sé la potenzialità di concorrere alla educazione dei bambini. Ecco che nella scelta della disciplina sportiva sarà opportuno verificare se, laddove sarà praticata, esistono le condizioni (persone competenti e organizzazione) perché l’esperienza dei nostri figli sia davvero educativa: cioè che motivi all’impegno, prepari all’autonomia, alla responsabilità, al coraggio, al rispetto delle regole, alla libertà e alla iniziativa dentro il perimetro di quelle regole, alla condivisione, al fare assieme, alla socializzazione, al rispetto, alla partecipazione attiva, creativa e collaborativa. E soprattutto che l’attività sia sempre offerta dall’educatore – e dai genitori – come una attività divertente, piacevole. L’adulto si allena per il risultato, il bambino no. A parte il valore etico di questa considerazione, il bambino deve crescere equilibrato e pieno di esperienze motorie se in futuro vorrà essere un buon atleta specializzato in uno sport.

Quindi come individuare lo sport più adatto per i propri figli?
La scelta dovrà considerare le caratteristiche fisiche e psicologiche del singolo sport e le specificità del bambino.
Per aiutarvi riprendiamo uno schema – pubblicato tempo addietro su Gazzetta.it, a firma di Mabel Bocchi – che classifica gli sport in base alle differenze di tipo fisiologico (criterio che consente di valutare in modo opportuno le specifiche caratteristiche dello sviluppo fisico del bambino).

• Sport di resistenza – Le specialità di corsa dell’atletica leggera dagli 800 metri alla maratona, marcia, nuoto, pattinaggio di velocità su ghiaccio e a rotelle, canottaggio, canoa, ciclismo su strada e fuoristrada, sci di fondo. Sono sia gli sport caratterizzati da sforzi di breve durata e di alta intensità (per esempio gli 800 metri), sia tutte quelle attività che richiedono sforzi di minore intensità ma di maggiore durata. Tratto comune degli sport di questo gruppo è la ripetizione del movimento: pedalare, correre, marciare, nuotare, remare.
Praticare sport di resistenza di media e lunga durata è molto utile sia per migliorare l’efficienza di cuore e polmoni, sia per favorire lo sviluppo armonico del tono muscolare. Tuttavia, nel praticare questi sport, l’intensità non deve mai essere eccessiva, in quanto nei bambini dai 5 agli 11 anni la capacità di produrre energia in modo rapido e abbondante (produzione anaerobica) non è ancora abbastanza sviluppata. Per questo motivo, non è consigliata la pratica delle attività di resistenza caratterizzate da sforzi brevi ma di alta intensità, come gli 800 metri. Sono, viceversa, consigliati gli sport di media e lunga durata, sempre prevedendo pause molto frequenti

• Sport alternati – Calcio, pallacanestro, pallavolo, rugby, pallamano, hockey su prato, a rotelle e su ghiaccio, pallanuoto, tennis.
La caratteristica principale è l’alternanza di fasi di gioco e pause di recupero, cosa che offre la possibilità di protrarre a lungo l’impegno fisico.
Praticare sport alternati, che siano di squadra o individuali, significa per il bambino potere essere attivo per molte ore al giorno. Dal punto di vista specificatamente motorio, le attività alternate sono, inoltre, contraddistinte da una infinita e casuale varietà di movimenti che contribuisce ad aumentare l’interesse del nostro piccolo atleta.

• Sport di destrezza – Sci alpino, ginnastica artistica, tuffi, scherma, pattinaggio artistico, arti marziali. Sono essenzialmente attività individuali, che prevedono elevate abilità di coordinazione motoria. Alcuni di questi sport, come la ginnastica e i tuffi, richiedono un impegno muscolare rilevante, ma un contenuto dispendio energetico. In altri, come lo sci alpino, la potenza muscolare impiegata e l’energia consumata sono entrambe considerevoli. In altri ancora, come scherma e arti marziali, l’impegno muscolare e il dispendio energetico variano in base alle differenti fasi di gioco.
Per riuscire in queste attività è indispensabile sapere eseguire varie sequenze di movimenti. In alcuni casi, si tratta di imparare e perfezionare movimenti molto difficili (tuffi, ginnastica artistica); in altri casi si tratta di compiere gesti complessi in modo sempre vario e imprevedibile (scherma, arti marziali).
Si tratta di discipline tecnicamente difficili e fisicamente impegnative, che però si adattano molto bene alle caratteristiche fisiche dei bambini di questa età. Sono sport, prescindendo dal grado di energia e di potenza richiesti, molto tecnici che esigono una grande coordinazione motoria, una capacità che raggiunge il suo massimo sviluppo proprio nel periodo tra i 5 e 11 anni, mentre in seguito è migliorabile solo parzialmente. E’ quindi consigliabile che la pratica degli sport di destrezza sia avviata proprio in questo periodo, nel momento in cui è più semplice apprendere tecniche sportive particolarmente complesse.

• Sport di potenza – Alcune specialità dell’atletica leggera, come i lanci (disco, peso, martello, giavellotto), i salti (in alto, in lungo, triplo, con l’asta), la corsa su breve distanza (100 metri), sollevamento pesi.
Sono tutte quelle attività, per la gran parte individuali, dove sono predominanti l’intervento della forza e della potenza (ovvero forza x velocità) e dove, pertanto, è necessario avere sviluppato un adeguato tono delle masse muscolari.
Per lo sviluppo ancora ridotto della sua piccola muscolatura, è preferibile che il bambino non pratichi queste attività in modo continuo e sistematico, magari con l’obiettivo di ottenere risultati di tipo agonistico. Il bambino può avvicinarsi a questi sport per confrontarsi in maniera giocosa con alcune capacità individuali rispetto alle quali, spesso, si mettono spontaneamente in gara tra loro: quanto in alto o in lungo si salta, quanto lontano si lancia la palla, quanto veloce si corre…

Questo club è ok!
Scelto lo sport va scelto il contesto in cui lo sport sarà praticato dal bambino. Nel momento in cui si sceglie il club è bene che i genitori osservino e pongano qualche domanda.
Un club ben organizzato, con saldi valori e trasparente nei metodi, non vedrà di cattivo occhio la vostra (legittima) curiosità. Se viceversa, alle prime domande, sarete bollati come rompiscatole… avrete già un buon indizio di dove siete capitati.
Valutate lo stato delle strutture, la formazione degli allenatori e come vengono selezionati, chi sono i volontari e che profilo hanno, lo stesso dicasi dei dirigenti, l’esistenza di facilitazioni (esiste un servizio di bus? C’è una club house? C’è un referente organizzativo? ), i costi a cui andrete incontro per partecipare alle diverse attività, se esiste un codice di condotta e un programma per applicarlo, se la sicurezza in campo e nell’impianto è assicurata, che obiettivi sportivi ed educativi ha nel concreto il club, se viene curata, oltre l’insegnamento della tecnica, anche l’attività motoria di base.
Lo sport in Italia è organizzato, a livello amatoriale, prevalentemente attorno alle associazioni sportive, e questo anche nel rugby. Le associazioni vivono prevalentemente di volontariato e sono più o meno strutturate, a seconda delle risorse, della esperienza, della cultura e del know how di cui dispongono. In un ambiente marcatamente amatoriale come quello della palla ovale, troverete sempre grandissima passione.

Quello che dovete valutare sono i valori reali del club (la retorica talvolta abbonda), il know how di dirigenti, allenatori, volontari; i metodi di gestione dei ragazzi, gli obiettivi della attività: vincere i tornei? Formare atleti per la prima squadra? Dare una valida educazione psicomotoria?
E’ quasi impossibile fare queste valutazioni al momento della iscrizione, ma nel tempo partecipando attivamente alla vita del club potrete certamente farvi una idea precisa.

I genitori del bambino che fa sport
Abbiamo visto nei precedenti articoli diverse riflessioni sullo sport per i bambini. Certamente i genitori hanno una grande responsabilità nell’avviare i figli allo sport.
Non meno responsabilità serve, poi, nel seguirli come piccoli sportivi praticanti.
La regola generale, in sintesi, potrebbe essere questa: non fate pressione perché facciano sport e incoraggiateli quando lo fanno.
Lo sport è fatto di movimento fisico e tecnica, ma anche di emozioni, quelle eccitanti della vittoria, e quelle deprimenti della sconfitta: potrebbe essere la prima occasione per il bambino di provare emozioni così intense. Entrambe danno un insegnamento, il ruolo del genitore è condividere e dare supporto.
Capiterà che il bambino si senta inadeguato rispetto ad altri, che non reputi le sue performance del giusto livello, o forse qualche adulto poco attento gli creerà questa frustrazione: è il momento del vostro sostegno, aiutatelo a focalizzarsi sui propri miglioramenti, dategli dei piccoli obiettivi. Non siate ossessivi con domande come “allora, avete vinto? E quante mete hai fatto tu? Hai placcato?”, potrebbe cadere nella frustrazione di chi si sente inadeguato. Lasciate queste domande ai nonni o ai vicini di casa. Entrate in confidenza e chiedete se gli è piaciuta la partita e soprattutto se si è divertito.

Se invece si trovasse in un momento di esaltazione (ha fatto 100 mete, ha vinto 100 partite, un pazzo a fine torneo gli ha dato la coppa del migliore giocatore del torneo), aiutatelo a rasserenarsi, nessun eccesso lo migliora.
Un altro aiuto che potete offrirgli è facilitare la conoscenza dei suoi compagni, soprattutto all’inizio ma anche quando si creassero tensioni.

Anche il rapporto con l’allenatore può essere facilitato. Si sente dire talvolta che l’ideale sarebbe allenare una “squadra di orfani”, è una formula un po’ provocatoria per esorcizzare la presenza invasiva di taluni genitori, che trascendono il proprio ruolo, interferendo con l’educatore/allenatore. Però i bambini apprezzano la vostra presenza alle gare, è un momento di condivisione importante, suggeriamo di non essere invadenti, adulatori, né eccessivamente “appassionati” nelle manifestazioni a bordo campo (vergognatevi profondamente se vi ritrovate in atteggiamento da ultrà). Non criticate le scelte dell’allenatore in presenza del bambino.
Evitate questi atteggiamenti, otterreste l’effetto indesiderato di rendervi insopportabili e poco amati nel club. E di imbarazzare vostro figlio.
Però siateci.
Mantenetevi informati il più possibile sui programmi e sulla attività che coinvolgerà vostro figlio.
Valutate anche di supportare il vostro club con il volontariato, i club di norma sono associazioni e ne hanno bisogno. Non usate tuttavia la vostra presenza come accompagnatori, allenatori, segretari, cambusieri etc solo per avere l’opportunità di seguire più da vicino vostro figlio: se avete un ruolo organizzativo, l’avete per tutti allo stesso modo.

In ultimo, siete stati un campione di baseball o di rugby o di nuoto, o forse un campione mancato, chissà. Ma a vostro figlio, che pure avrà provato il vostro sport con curiosità e impegno, magari anche per accontentarvi e vedervi sorridente ed orgoglioso, ad un certo punto potrebbero mancare gli stimoli. Ascoltatelo e non abbiate paura di proporgli una pausa o anche di provare una diversa disciplina sportiva. È un modo per garantirgli la libertà di esprimersi, sperimentarsi e crescere nello sport divertendosi. E chissà, potrebbe diventare il campione del mondo di salto triplo!